Terzo figlio, terzo taglio cesareo. In sala operatoria c’è un clima disteso, conosco tutti, conosco la procedura. Ci siamo, sono emozionata non vedo l’ora di conoscere la mia piccola. Invece succede tutto di corsa, avverto un po’ di tensione nell’aria, però la sento piangere e tra me e me penso che sia un buon segno. Me la fanno vedere di tre quarti, tutta imbacuccata, dicendo che ha freddo e la portano subito al nido; la cosa mi suona stonata, ma il mio dottore mi parla tranquillo…Scendiamo finalmente, mio marito esce dal nido con l’aria un po’ tesa e mi dice che c’è un problemino, la bimba ha un buchino nel palato, ma sembra stia bene. Dopo poco viene anche il pediatra visibilmente preoccupato della mia reazione e mi dice la stessa cosa. Finalmente me la portano e l’unica cosa che penso è “ mamma mia è senza il mento!”.
Me la affidano e posso farla riposare tenendola sdraiata a pancia in giù sul mio petto. Sembra tutto normale, non mi viene neanche voglia di guardarla in bocca e mi godo il suo profumo. Lo vedrò solo due giorni dopo che il buchino è tutto tranne che INO. E’ una schisi completa e ampia di quelle tipiche dei Pierre Robin a forma di U rovesciata.
La pediatra che ci seguirà per i primi mesi mi spiega che probabilmente avrò dei problemi a nutrirla: dovremo usare un biberon speciale, dovrò tirarmi il latte, sarà faticoso, ma andrà tutto bene. Hanno già avuto dei casi simili e Laura può imparare a mangiare senza sondino se la aiutiamo. Nel frattempo me la fa attaccare al seno come coccola, lei piccolina si attacca, ma con quel cratere lunare in bocca e il respiro ballerino davvero a prendere il latte non ce la fa. Il giorno dopo le cose cambiano: Laura inizia ad avere episodi di apnea, non si può tenerla sdraiata normalmente neanche per cambiarla, è complicatissimo darle il latte perché la saturazione scende parecchio, la pediatra fa la nuova diagnosi: sequenza di Pierre Robin. Da questo momento iniziano giorni faticosi, visite, controlli e consulti, non sempre torniamo con le informazioni e l'aiuto che ci serve; tutto è  reso più difficile dal fatto che l’allattamento è un dramma, passiamo il tempo tra tiralatte e biberon della medela, non abbiamo tempo per altro. Ma facciamo tutto: bimba nel marsupio e saturimetro in borsa. Per fortuna nonni e zie si prendono cura delle sorelline. Allora non lo sapevo, ma quello che ha evitato problemi più grandi è stato il costante supporto della pediatra che ci ha aiutati passo passo con determinazione ed equilibrio, incoraggiandoci e ascoltandoci sempre e insegnandoci quello che era necessario. In altri ospedali Laura avrebbe avuto da subito il sondino e magari non avrei potuto stare con lei giorno e notte per imparare a conoscerla e nutrirla, probabilmente non l'avrei portata a casa tanto presto.

Due parole mai sentite ci hanno rivoluzionato l’esistenza: iniziamo a collezionare tutti gli articoli che troviamo e piano piano cerchiamo di capire. Non che ci siano molte informazioni disponibili in italiano. Però…c’è un bel sito sulla labiopalatochisi di un papà e un racconto: “Matteo il bimbo Pierre Robin”, conosciamo Elisa, la prima mamma Pierre Robin che ci rincuora, e poi a sorpresa scopro di avere una mamma amica nel mio stesso paese. L'orizzonte diventa meno grigio.
Quello che abbiamo capito quasi subito è stato che questa cosa aveva poco a che fare con una semplice palatoschisi e che dovevamo trovare un chirurgo che adattasse il suo protocollo a nostra figlia e non nostra figlia al suo protocollo. Ci siamo organizzati  e abbiamo parlato con quattro chirurghi. In fondo per poter decidere di seguire una strada bisogna sapere quali strade hai davanti e quanto possono essere diverse.
Alla fine ci siamo affidati a Roberto Brusati, un uomo schietto, preparato, circondato da una squadra di persone che si son prese cura di noi e ancora ci seguono. Non sempre è stato facile parlare con i medici: all’epoca eravamo talmente spaventati da quello che ci era stato prospettato da altri, che ci abbiamo messo alcune settimane ad accettare le sue parole. A capire che con alcuni accorgimenti la situazione si sarebbe risolta senza troppi rischi. Che veramente il peggio era passato e potevamo essere fiduciosi.
Insomma questa è una storia fatta di piccoli eventi fortunati: molte cose avrebbero potuto andare storte. A pensarci ora non sembra neanche vero. Soprattutto è una storia fatta di incontri con alcune preziose persone piene di buona volontà, esperienza e sensibilità, ognuno di loro ha reso un pezzo della nostra strada più semplice. Non c’è un finale: da ogni incontro, come fosse una catena, è nata una nuova amicizia. Un paio di anni dopo, da un’idea della mia amica Chiara, assieme ad Elisa abbiamo messo in piedi il progetto Bimbi Pierre Robin, per rendere disponibili ad altri le cose che abbiamo imparato e che stiamo ancora imparando. La catena continua...